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Sono le ore 17:21, cielo nuvoloso 23°C, 14.6 (Neil Young).
0.
L’immagine di copertina è stata prodotta da Midjourney con il seguente prompt:
un arbitro in completo nero che alza un cartellino giallo in un campo da calcio
1.
Qualunque cosa si faccia, si costruisce sempre il monumento a proprio modo; ma è già molto adoperare pietre autentiche.
Marguerite Yourcenar
2.
Me la sono giocata a metà serata, dopo circa tre quarti d’ora. Dopo aver parlato del libro, in un momento in cui vedevo che il livello di attenzione generale si stava abbassando, ho deciso che era giunto il momento di intrattenere i centoventi arbitri presenti (tra cui molti giovani) con una battuta ideata senza troppo sforzo e pensata durante il viaggio verso Milano. Non era granché sofisticata e probabilmente qualcuno in altre occasioni l’aveva già utilizzata ma la reputavo il giusto contraltare alle argomentazioni e ai toni moderati che avevo utilizzato nel corso della chiacchierata con Jacopo Ceccarelli, presidente dell’Aia (Sezione di Milano), e Marco Trinchieri, consigliere del direttivo nonché guardalinee di livello nazionale. A un certo punto, mentre il discorso andava virando inevitabilmente sui padroni di casa, altero la mia gestualità abbastanza piatta muovendo le braccia in modo da rinvigorire il concetto che avrei esposto ed esclamando:
Dopo venti anni di calcio giocato, pensando e ripensando a tutte le situazioni in cui in campo ho discusso con gli arbitri, di una cosa sono sicuramente certo. (Qui inizio a sorridere). Non ho mai e poi mai nemmeno lontanamente pensato che un arbitro avesse un bidone dell’immondizia al posto del cuore.
Ѐ stato un incontro interessante (clicca qui per ulteriori dettagli). Un esperimento nuovo, dove mi sono messo a completa disposizione per stimolare il dibattito raccontando qualche interessante aneddoto capitatomi sul terreno di gioco. Come questo, perla rara del mio archivio mnemonico. Capitò ai tempi del Siena, giocammo al Friuli di Udine: punizione dal limite, si avvicina al punto di battuta Di Natale che chiede la distanza. “Uè Totò, fischio io!”, esclama l’arbitro con fare piuttosto amichevole. Due anni dopo, stessa identica situazione, questa volta all’ Olimpico di Torino. Stesso calciatore, stesso arbitro. Si avvicina al punto di battuta Di Natale che chiede la distanza. “Uè Totò, tranquillo...” esclama l’arbitro con fare più che amichevole. A quel punto mi interpongo nel dialogo tra Totò e l’arbitro e chiedo direttamente a quest’ultimo con tono infastidito. “******, ma chi è Totò?”. E inevitabilmente ******* ritorna alla formalità (imparzialità) che dovrebbe contraddistinguere il suo ruolo. Me la sono rischiata, raccontando questo episodio. Non è mia intenzione mettere in cattiva luce la categoria che reputo per quel che ho visto quest’anno in Serie B, decisamente preparata. E per bilanciare un po' la serata, ho ammesso di non conoscere il regolamento arbitrale. L’ho fatto in maniera palese, premettendo che come io non conosco il regolamento arbitrale voi non conoscete nel dettaglio le tattiche e le metodologie del lavoro dell’allenatore. Conoscere il regolamento per me significa conoscere per filo e per segno ogni regola, ogni sfumatura, ogni decisione, ogni virgola. E tutto, onestamente, non lo so, non sono un regolatore del gioco calcistico. Tant’è, che quando ho un dubbio su un singolo episodio chiedo chiarimenti all’addetto arbitri della squadra. Altrimenti, non mi esprimo, mi informo e poi valuto. E poi, il regolamento arbitrale è composto da centocinquantasette pagine scaricabili online. Le ho lette, ma purtroppo, non ricordo tutto.
3.
Il regolamento del gioco del calcio
4.
Esilarante Pierluigi Collina. Una carriera arbitrale dalla brillantezza certificata dal suo curriculum, conclusasi anticipatamente con una noiosissima Pavia-Bari di Coppa Italia in piena estate, anno 2005. Sì, ero presente in quella umida e asfissiante serata nella quale le zanzare dominarono il gioco e lui, che fino ai supplementari aveva diretto senza stupire granché (chissà cosa mi aspettavo dalla sua direzione), se ne uscì con un’esternazione sconsolata e allo stesso tempo lapidaria. A un certo punto, frustrato dal basso livello del gioco spezzettato da continui falli tattici e condito da 10 ammonizioni e 1 espulsione, dopo l’ennesima interruzione:
Ragazzi mi fate venire il latte alle ginocchia, questo non è calcio.
Come dargli torto?
Pavia (4-3-1-2): Casazza, Bandirali, Preite, Gorini; Sciaccaluga, Napolitano, Tarantino, Todeschini; La Cagnina; Rossi, Veronese.
Bari (3-5-2): Spadavecchia; Micolucci, Sibilano, Bellavista; Anaclerio, Gazzi, Goretti, Berardi, Pagano; Santoruvo, Vantaggiato.
5.
Rileggere il regolamento del gioco del calcio può “deliziare” il palato linguistico dei lettori.
Grave fallo di gioco: un tackle o un contrasto che mette in pericolo l’incolumità di un avversario o commesso con vigoria sproporzionata o brutalità deve essere sanzionato come grave fallo di gioco.
Vigoria sproporzionata, brutalità…
6.
Ad esempio. I simulatori, quelli puri e non contaminati dall’etica sportiva. Quelli dei tuffi finti, dei colpi inventati, delle manate fasulle. Mi “disturbano”. Sono presenti in percentuale minima ma ci sono, eccome se ci sono. Provo un senso di, chiamiamola, repulsione momentanea nei loro confronti. Ѐ difficile da spiegare, ha a che fare con i principi di lealtà (non solo miei) che cozzano quando vedo certe scaltrezze, astuzie, furbizie quelle che in Italia vengono quasi tollerate, giustificate. Le simulazioni. Quelle che mettono in difficoltà gli arbitri. Anche io una volta, ho simulato. L’unica volta in cui tentai di portare a casa un intervento falloso inesistente provai vergogna per me stesso. Me lo ricordo bene: vergogna per me stesso. Non so perché lo feci, di certo a forza di vederlo fare dai colleghi, ho avuto la brillante idea di cimentarmi in una performance attoriale scadente proveniente da un copione motorio copiato male. Sposto la palla verso la linea laterale, un avversario nemmeno mi contrasta ed io, che non sarei più stato in grado di recuperare quel pallone destinato ad un fallo laterale a sfavore, mi tuffo con un’interpretazione tanto finta quanto pessima. Non andò a buon fine quel gesto, ma andò a buon fine il mio ingresso temporaneo nel mondo della simulazione, mondo nel quale la lealtà verso gli avversari è inesistente. Ho ancora il ribrezzo, a pensarci bene. Non che sia un peccato mortale per carità, non vorrei essere frainteso, ma ciò mi disturba. Una volta contro la Juventus incontrai Krasic, un esterno offensivo di fascia che aveva l’abitudine di cadere senza motivo. Quella volta, di nuovo, simulò. Nella congestione emotiva della partita lo guardai negli occhi e gli urlai di tutto. Ce ne sono di simulatori in giro. Seriali. Pronti a contagiare anche i compagni. Quelli bravi a fingere. Quelli che quando si rialzano guardano altrove. Quelli che fanno finta di niente. O quelli che la simulazione ce l’hanno in un dna manipolato da insegnamenti tossici e che, con i loro automatismi comportamentali (culturali), prendono per i fondelli te, l’arbitro, e tutti coloro che guardano la partita. Incapaci di capire che a conti fatti il loro agire dà e toglie. Dà e toglie. Nello stesso modo in cui dà e toglie a chi rispetta una certa etica sportiva.
7.
A 12 anni, mio padre mi fece fare l’arbitro durante una partita di allenamento dei ragazzi che allenava. Erano tutti più piccoli di me. A fine partita, capii che l’arbitro non l’avrei mai fatto in vita mia.
Mi sono prestato malvolentieri, ai tempi della Lazio, a dirigere una partitella di calcetto tra i soci della Clubhouse del Centro Sportivo di Formello. Mi ci avevano messo perché c’era bisogno di qualcuno che arbitrasse. Non vedevo l’ora finisse la partita: il vicepresidente della Lazio Massimo Cragnotti, che giocava da attaccante, continuava a protestare contro il direttore di gara. A un certo punto si procurò un fallo senza nemmeno che l’arbitro avesse fischiato. Al triplice fischio me ne andai senza dire una parola.
Quando lo scorso anno mi capitò di dirigere una partitella d’allenamento tra due formazioni giovanili del Torino, mi stavo quasi divertendo. Osservare il gioco, posizionarmi nella zolla giusta, seguire l’azione e il comportamento dei giocatori, comunicare con il guardalinee che alza la bandierina. Come si ricerca il Flow nel ruolo di arbitro? Quali sono le sfide che si pone e le difficoltà maggiori che può incontrare? Dove trova godimento nell’attività che svolge? Cosa prova quando è consapevole di aver fermato il gioco giustamente? Quando riesce a capire se una “chiamata” è difficile oppure no? Quali sono gli stimoli percettivi ai quali dà maggiore importanza? Come può essere descritta la dimensione mentale di un arbitro quando raggiunge un’esperienza di picco?
8.
Siamo tutti d’accordo che il fallo di Iuliano su Ronaldo è calcio di rigore?
9.
La divisa ufficiale
Visioni
Croazia-Italia.
5 minuti circa di Metropolis di Fritz Lang.
Letture
Lunar Park. Bret Easton Ellis. 2005. Einaudi.
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