ROBERTO DE ZERBI aka RDZ

Papà, perché hai preso il mio posto a tavola? Nicole, al giorno d’oggi bisogna saper ricoprire tutti i ruoli. Difensore, attaccante, centrocampista, esterno alto ed esterno basso. Portiere. Il ruolo è una funzione, dicono. E che funzione hai te? Seduta li, capotavola? Sei forse una first line breaker? O una wide controller? E che funzione ho io che mi trovo al posto tuo? Che funzione ho se non quella di abitare questo mondo capovolto dove le parole trasmigrano e il significato, il vero significato delle cose sta solo nei fatti. Di quale complessità voglio parlarti Nicole? Forse dell’essenza che ci compone, di quelle piccole molecole che trasferiscono energia e che trasmettono emozioni. E’ una catena chimica, logica, semantica.

Una semplice catena legata ad altre catene, come io e te io e mamma io e Camilla io e Emily. Tu ed Emily. Tu. E Camilla. Le relazioni. E’ qui che risiede la dinamica, il movimento, l’impossibilità di rimanere statici nella stessa identica postura mentale.

 

Ore 7:05. Cielo parzialmente sereno. 16°C.

 

1.

Le nazioni e le religioni sono squadre di calcio sotto steroidi (Harari 2018).

 

2.

Ai tempi della 1^ superiore, quando salivo sul bus della linea Belluno-Feltre per andare a scuola, c’era sempre un ragazzo posizionato sulla trequarti[1] che teneva tra le mani la Gazzetta dello Sport. Se ne stava quasi sempre seduto in posizione ben eretta, a volte con il giornale aperto a ventaglio, altre volte più composto nella lettura del quotidiano che ripiegava come se fosse il report di qualche ricerca scientifica. Era curioso osservarlo. Primo perché quasi sempre era lì, sempre sullo stesso sedile, come se fosse il centrale di difesa in fase di prepensionamento che non si schioda[2] nemmeno di un metro dalla sua posizione. Secondo perché in quel quarto d’ora di tragitto nemmeno i suoi occhi si schiodavano dalla Gazza tant’è che con un pizzico di fantasia si possono immaginare le sue pupille in continuo movimento da destra a sinistra e viceversa, con accelerazioni e decelerazioni tipiche di quei calciatori che percorrono la fascia senza soluzione di continuità. Terzo perché, in quel pullman stracolmo di gioventù montanara, la presenza di un quotidiano nelle mani di un adolescente sembrava una cosa quantomeno anomala e faceva apparire il ragazzo più vecchio di quello che in realtà era. Damiano lo conobbi personalmente l’anno successivo, quando ci ritrovammo nella 2^H dell’Itis Negrelli di Feltre. Non avevo dubbi sulle conoscenze in termini calcistici che aveva acquisito, sapeva praticamente tutto di tutti: le sue informazioni erano molteplici ed accurate, dalla Serie A alla C2, dalla Juventus al Gela. Internet non era ancora esploso ma la sua cultura pallonara era già notevole; potevi chiedergli qualsiasi cosa e lui nelle risposte era sempre molto puntuale. C’è stato un periodo in cui, durante l’anno, portava con se l’Almanacco. Lì si che ci divertivamo. Durante le lezioni di chimica, con il prof poco pratico nel gestire una classe di venticinque scalmanati, giocavamo a indovina la squadra in cui milita il calciatore. E lì Damiano sfruttava al meglio l’enciclopedia del calcio che possedeva nella sua testa. Si, le sapeva tutte. Ora, non sono certo dell’accuratezza della mia memoria su quel periodo storico. Al tempo giocavo negli allievi del Montebelluna e il calcio era ancora un divertimento dai sacrifici moderati. Sta di fatto che probabilmente tra i giocatori nominati in quelle sfide in cui la chimica non c’entrava assolutamente nulla ci fu anche un giovane talento tra i più promettenti che la Primavera del Milan aveva prodotto. Si chiama Roberto De Zerbi. Fu lì che RDZ entrò per la per la prima volta in quell’ universo calcistico che nel corso degli anni si sarebbe espanso nella mia mente.

 

3.

Durante il primo tempo di Olbia-Ancona con l’audio del portatile a palla ho intercettato tre frasi sulle quali si possono aprire altrettanti argomenti di discussione:

Non fare il protagonista, Leone”: rivolto all’arbitro reo di aver fischiato un fallo per l’Ancona all’altezza della metà campo. Fallo che poi ha chiaramente agevolato l’Ancona ad alzare il proprio baricentro.

Vai a cagare Spagnoli”: dopo un battibecco di durata minima tra l’attaccante marchigiano e un avversario biancoazzurro (credo La Rosa) ma non ne sono sicuro. Ammonizione per entrambi.

C’è prato da percorrere”: la puntuale e ineccepibile descrizione del manto erboso dello stadio Nespoli da parte del telecronista.

Apro una breve disgressione. Prato è la definizione corretta. Lo si nota dalle immagini televisive, lo si percepisce quando ci giochi. Non è un brutto manto, quello no. E non stiamo nemmeno parlando dei tappeti immacolati o quasi a cui i calciatori della Serie A sono abituati a calpestare. Il manto del Nespoli ha a che fare con la terza serie professionistica ed è caratteristico di Olbia: un prato ben curato, leggermente sconnesso, dove la palla comunque ruota discretamente. Oltre ad esso, il vento sempre presente infastidisce le dinamiche di gioco che assumono dei contorni imprevedibili: difficoltà di costruzione pulita, importanza del recupero delle seconde palle, una pericolosità latente insita all’ambiente. Le temperature sono sempre oltre la media continentale. E massima attenzione a Ragatzu quando i ritmi si allentano.

 

4.

Nel 2003/2004 il Foggia di Marino, inserito nel girone B della vecchia C1, era considerata una squadra dal gioco evoluto[3]. Il suo 3-4-3 si basava su un’inusuale costruzione del gioco dal basso che all’epoca e soprattutto per quel girone infuocato era considerata un’ anomalia distante anni luce dal pragmatismo tattico della categoria. L’obiettivo del suo credo era quello di innescare a suon di passaggi i due trequartisti (che spesso e volentieri fungevano da ali) liberi di inventare e dettare le azioni offensive più pericolose. Ricordo chiaramente la qualità del gioco dei rossoneri in  quei novanta minuti e più di trincea subiti quando allo Zaccaria, con la Viterbese, riuscimmo a strappare un preziosissimo punto alla quinta di campionato. E ricordo chiaramente RDZ quando era il De Zerbi talentuoso trequartista del Foggia che non era riuscito a mantenere le aspettative che gli erano valse il soprannome di Piccolo genio ai tempi del Milan. Vederlo lì alla mia sinistra, ala a piede invertito che “veniva dentro il campo” palla al piede sterzando rapido con il suo sinistro educatamente sbarazzino e la sua chioma di capelli che anticipava il look del primo Messi, mi ricordava che qualche motivo per cui il Milan avesse puntato su di lui, sicuramente c’era ed era più che valido. Poi, tra il diventare fuoriclasse e il bazzicare le serie minori, a volte ci passa il nulla e saperlo quantificare, il nulla, è di per se impresa impossibile. Fatto sta che me lo sono ritrovato lì, con la classe che gli era valsa il celebre soprannome. Lui con alle spalle già qualche campionato minore ed io resuscitato dallo sprofondo emotivo che avevo assaggiato per qualche settimana. C’erano tre cose che mi rimasero impresse di quell’incontro ravvicinato con un calciatore che, visti i prestigiosi trascorsi, reputavo di altissimo livello per la C: la voce dal timbro “acido” e leggermente fumoso, il martellamento verbale continuo nei confronti dell’arbitro (considerato il brutale trattamento riservato dai miei compagni e la classe. Quasi cristallina.

 

5.

Un ragazzo parcheggia l’auto sulla corsia d’emergenza dell’autostrada. Si siede ai bordi del viadotto. E minaccia di gettarsi nel vuoto.

 

6.

Dal primo  incontro ravvicinato con l’RDZ calciatore al primo incontro con l’RDZ allenatore due delle caratteristiche che ho descritto nel paragrafo 4 non erano cambiate: il timbro di voce, forse leggermente più rauco e il martellamento verbale. Quando arrivò a Palermo ad inizio settembre 2016 sostituendo il moderato fin troppo Ballardini si percepì subito l’ambizione che voleva trasmettere alla squadra composta perlopiù da giovani ragazzi di cui molti stranieri e non ancora avvezzi alla lingua italiana. Aveva una carica e una voglia di allenare che, nella sua prima esperienza in Serie A dopo l’esperienza di Foggia, si avvicinavano molto alla ferocia che avevo visto nell’ Antonio Conte allenatore del Bari. RDZ trasudava/trasuda animo: il suo stile comunicativo caratterizzato dalla spigolosità timbrica e da un tambureggiante martellamento vocale nonché dal suo movimento continuo di qua e di là durante gli allenamenti (come se non riuscisse a trattenere la sua verve sanguigna ed impulsiva) facevano intravedere in lui una voglia smisurata di imprimere la sua visione. Era e credo lo sia tutt’ora ossessionato da quello spirito del giocare tipico delle sue squadre. La sua ricerca della verità, purtroppo interrotta da un esonero che, considerando il presidente Zamparini, non era nemmeno quotato[4], ebbe dei momenti in cui le cose sembravano quasi funzionare. Non era facile, questo sì, smuovere un’ambiente calcisticamente decadente, ciononostante alcune prestazioni furono più che soddisfacenti e impregnate di un entusiasmo che purtroppo non riuscì a coprire quel pesante velo di negatività che vagava nell’aria. Vincemmo a Bergamo contro l’Atalanta - di un Gasperini che stava ad un pericolosissimo turning point del suo ciclo nerazzurro ancora agli albori - e perdemmo al Barbera contro la Juventus dimostrando buone idee ed una fitta rete di passaggi della quale pure noi calciatori in campo rimanemmo decisamente sorpresi. Nel turno successivo pareggiammo a Genova contro la Samp[5] e poi il lento incedere delle nostre debolezze tecniche ed emotive sovrastò il progetto che aveva in mente. Piano, piano. Furono questi i principali punti di spicco della sua breve esperienza. Comunque il suo fare nel breve medio termine fu contagioso. Io ero entusiasta di essere allenato da lui: ero incuriosito perché nell’ambiente era già conosciuto per ciò che aveva proposto a Foggia e avendo avuto maestri come Conte e Ventura, che dal punto di vista tattico mi avevano indirizzato a una certa verità, ero convinto che il suo punto di vista avrebbe aggiunto altre conoscenze all’evoluzione del gioco che avevo assimilato nelle precedenti esperienze. Gli allenamenti li trovavo divertenti e il possesso palla era un mantra sul quale affidarsi ad occhi chiusi. Fin dal riscaldamento la parola d’ ordine era velocità, qualità del controllo orientato, precisione quasi “unsane” dei passaggi. Coraggio. Coraggio nel giocare, nel non avere il timore di sbagliare. E logica, tanta logica. Quando si lavorava molto sulla costruzione di gioco in zona 1, mi affascinava il ragionamento a dir poco cerebrale dietro ad ogni movimento. Questa logica che sintetizzata approssimativamente si potrebbe riassumere con la tecnica if/then/else era ed è in realtà molto più sofisticata: è una procedura mentale che solo tramite l’allenamento e la costante ripetizione delle situazioni puoi assimilare e ridurre nella sua rappresentazione schematica. E’ qualcosa che ha a che fare con la matematica che Mazzarri aveva introdotto nei suoi discorsi tattici ai tempi della Reggina, ma molto più approfondita. L’esempio lampante delle sue elugubrazioni logiche frutto di una conoscenza assimilata a furia di analisi ossessive del gioco erano le sedute video. In quei quaranta minuti (se andava bene) di immagini ebbi modo di imparare un’idea di gioco che, sebbene sottostava a una logica inscalfibile fino alla zona 3, conteneva in se una flessibilità di movimenti inusuale e poco radicata negli integralismi degli stili autoctoni. Vederlo muoversi al fianco del video, con il foglio in mano e con mille parole per descrivere il suo mondo per me è stato illuminante. Non solo per le spiegazioni sulle quali c’era poco da dire ma per il carisma e la “furia” che sprigionava da tutti i pori. Si vedeva, che aveva una voglia famelica di arrivare e di dimostrare. E credo che in fondo, possa essere una logica conseguenza delle aspettative che da calciatore non è riuscito a mantenere. Non so se sia la chiave di lettura giusta, probabilmente no, ma mi piace pensarlo. E’ un fuoco che lo alimenta e che credo non lo abbandonerà così facilmente.

 

7.

Foto di copertina: nella settimana del Derby della Mole una foto che ritrae i miei occhi incollati al pallone in uno sfortunato incontro allo Stadium

 

Visioni

2° tempo di Lazio-Torino, Virtus Verona-Novara, Wolverhampton-Manchester City, Olbia-Ancona.

Letture

Edgar Morin. 7 lezioni sul pensiero globale. 2016. Raffaello Cortina Editore.

Cormac McCarthy. Stella Maris. 2023. Einaudi.

Calcio, cultura, sviluppo delle competenze e allenamento sportivo: estensione degli approcci ecologici allo sviluppo degli atleti utilizzando il quadro di intenzionalità qualificata. Frontiers in psychology. 8 luglio 2021.

 

Ascolti

Johnny Cash. American III: Solitary man, 2000. American Recordings.

Husker Du. Zen Arcade, 1984. SST Records.

Wilco. Cousin, 2023. dBpm.

 

 

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[1] Per trequarti intendo le file di sedili posizionate, considerando un pullman cittadino costituito da tre porte laterali, tra la porta centrale e la porta posteriore.

[2] Se faticate ad immaginare un centrale con queste caratteristiche cercate le partite dell’Alessandria stagione 2018/2019. Ho giocato per qualche mese in quella posizione senza fare un metro…

[3] Credo suoni meglio di un aggettivo ben più conosciuto e che ha fatto il suo tempo. Per chi volesse approfondire o conoscere l’aggettivo in questione vi rimando a questo breve articolo.

[4] In quell’anno la squadra conobbe cinque allenatori: Ballardini, De Zerbi, Corini, Diego Lopez e Bortoluzzi. Non un record (quello fu raggiunto l’anno prima) ma quasi.

[5] Venni espulso a 30 secondi dalla fine per doppia ammonizione sul risultato di 1 a 0 a nostro favore. Poi ci pensò Bruno Fernandes con un siluro da 20 metri sotto la traversa a ristabilire la parità. Al triplice fischio non potete capire. Il veleno.