Articolo pubblicato sulla rivista “Veses. Finestre sulla Valbelluna”
Dentro una lavatrice. Credo possa rendere l’idea: il vorticare circolare, la velocità elevata, la forza centrifuga. Il centro vuoto nel quale ruotano tutti gli istanti di una giornata intera. All’età di 17 anni, dopo i 48 mesi circa che avevano iniziato a deformare le mie giornate esponendole ad un binomio sempre più stretto tra scuola e calcio, mi ritrovai pressato in una costante morsa quotidiana. Il risultato dei miei sacrifici calcistici veniva “ricompensato” da un impegno sempre maggiore nei due ambiti sui quali appunto avevo sempre riversato le maggiori energie. Mi ritrovai dunque a frequentare la 4^ superiore dell’istituto tecnico informatico “Luigi Negrelli” di Feltre e ad allenarmi nella squadra Primavera della società biancoceleste del Treviso Football Club. La giornata viaggiava ad alto numero di giri: tra autobus, treni, libri, walkman e panini non c’era giorno che fosse uno nel quale mi sentivo di poter staccare la spina dalle incombenze quotidiane. Forse il sabato, trasferte permettendo, l’uscita serale con i miei amici e l’assunzione moderata di sostanze alcoliche, rilassava mente e corpo. Il resto era un flusso ininterrotto di vita che scivolava senza sosta. Alle 6.25 suonava la sveglia, colazione, e puntuale alle 7.10 prendevo l’autobus per Feltre. Alle 7.55 ero in classe. Tra elettronica informatica e sistemi giungevano le 13.05, orario in cui si concludeva la sesta ora di lezione. Pranzavo in fretta e furia in un ristorante a pochi passi dalla stazione ferroviaria e verso le 13.45 salivo sull’auto di Fabio, un mio compagno di squadra, con il quale nel giro di un’ora giungevo al centro sportivo di Lancenigo, quartier generale della società biancoceleste. 2 ore di allenamento tirato, doccia e ritornavo a casa. Cenavo con la mia famiglia alle 20, unico momento della giornata in cui ci ritrovavamo tutti e quattro assieme. Se non avevo concluso i compiti studiavo ancora una mezz ora circa, giusto il tempo di finirli. Alle 22 mi coricavo a letto. E così dal lunedì al venerdì. Il sabato era dedicato alla partita, la domenica ad un riposo apparente (nel pomeriggio studiavo ed il solo pensiero del giorno seguente accendeva già le sentinelle attentive). Questo è stato il tram tram centrifugo ad inizio anni duemila. Sicuramente l’ anno più intenso e stimolante della mia esperienza calcistica giovanile: la spensieratezza nell’ affrontare le fatiche quotidiane mi consentì di migliorare e cogliere le opportunità che si presentavano. Le titubanze interpersonali che limitavano il mio dialogo nei primi tempi erano un lontano ricordo al quale si era sovrapposta una sicurezza che non mi riconoscevo; sicurezza che mi aiutava anche sul terreno di gioco: mi confrontavo con i pari età di Milan, Inter Atalanta e tante altre squadre professionistiche di serie A e B. Non mi rendevo granché conto del livello raggiunto e seppur in passato avevo avuto avvisaglie riguardanti i progressi personali che potevano cambiare le prospettive future, io rimanevo sempre ancorato all’ idea che prima o poi la mia “scalata” si sarebbe allineata ad un piano dilettantistico. Perciò un occhio bello grande lo mettevo alla scuola che ho cercato sempre di non trascurare: l’impegno profuso mi consentiva di viaggiare un pizzico sopra la media della classe, quel che bastava per mantenermi in una zona di comfort valutativo distante dalle sabbie mobili di pericolose insufficienze. Per me la scuola era un salvagente e se non volevo affogare dovevo tenermelo ben stretto.