LA PARTITA PERFETTA

Recensione pubblicata sul mensile "INDICE DEI LIBRI".

 

Corrado Del Bò, Filippo Santoni De Sio,

La partita perfetta. Filosofia del calcio.

  1. 224, 16 €

Utet, Milano, 2018.

di Alessandro Gazzi.

È sempre piacevole imbattersi, tra autobiografie e titoli molto spesso scontati, in libri che stimolano davvero la riflessione sul calcio. Libri che non si limitano ad analizzarne la superficie più facile e in vista, ma che entrano a fondo nella questione delle cose e predispongono il lettore (tifoso, appassionato o addetto ai lavori non fa differenza) a un ragionamento più riflessivo e analitico. La partita perfetta, in questo senso, è una boccata d’ossigeno: Corrado Del Bo e Filippo Santoni De Sio, tifosi rispettivamente di Juve e Toro nonché filosofi di professione, scelgono di porre le loro conoscenze umanistiche e la loro passione per il gioco al servizio del dibattito calcistico, ben lontani da facili conclusioni o slogan sensazionalistici.

I due autori partono dall’esclusione dell’Italia dai Mondiali dell’estate scorsa, evento che ci consente di osservare la manifestazione con l’occhio dello spettatore simpatetico imparziale. La crisi di risultati della Nazionale viene qui usata come pretesto per sviluppare una nuova definizione di crisi, una riflessione ad ampio raggio dalla quale scaturisce un senso sportivo e politico rinnovato. Ma non si parla solo di Azzurri: nelle duecento pagine, ad esempio, c’è spazio per un’attenta disamina del Genio, del suo creare nuovi spazi fisici e metaforici, e della sostanziale differenza con il Fenomeno (Messi è un genio, Cristiano Ronaldo no). Si analizza il ruolo della fortuna a tutti i livelli, e si ragiona sul suo peso relativo nel tracciare le sorti di una partita o di un campionato intero. Si critica con lucidità e dovuto rispetto il dogma breriano secondo il quale la partita perfetta è uno 0 a 0, assunto dettato da una concezione difensivistica e pragmatica della realtà pallonara italiana, e a partire dalla vecchia tesi se ne costruisce una nuova, più ricca di sfumature e ristretta in certi limiti.

Il percorso delineato dagli autori è variegato e a tratti sconnesso: d’altronde, ci sarebbero decine di aspetti su cui soffermarsi. Tra questi si cerca di capire con opportuna elasticità la differenza tra il vincere ed il meritare di vincere. Cosa significa meritare di vincere? Quali sono i criteri giusti per stabilire il merito di una squadra? Domande di questo tipo ci consentono di fermarci, pensare e trarre conclusioni provvisorie, mai definitive. Ed è in questo momentaneo interrogativo non del tutto risolto che risiede la qualità del testo. Come nel caso del concetto di fair play: partendo dalla nozione di John Rawls e prendendo ad esempio alcuni casi eclatanti, i due autori danno vita a un giudizioso girovagare sul rispetto degli standard morali, sulle controversie che caratterizzano questo «mantra da evocare» nelle situazioni più disparate.

O ancora, si discute degli episodi dubbi fischiati dall’arbitro, giudice imparziale che deve decidere sul da farsi in pochi attimi, con l’intuizione di quel «colpo d’occhio» tanto caro a Wittgenstein. E infine, come non sostare sul tanto declamato Var? Sarà veramente il risolutore riduzionista definitivo e infallibile, che con la sua matematica scansione accerterà la verità dei fatti accaduti? La girandola degli argomenti continua ancora con la provocazione – a dire il vero poco fattibile – di un calcio del futuro autoregolamentato e senza arbitro, calcio che però deve fare i conti con interessi economici stratosferici e che difficilmente potrebbe cimentarsi in un’impresa simile. Tra colte citazioni e interessanti spunti sui cambiamenti del gioco avvenuti negli ultimi anni (vedi la definizione di “Ultracalcio” di Pippo Russo), il viaggio si conclude con un’appendice che stampa un riflettore in faccia ai luoghi comuni più utilizzati dai professionisti del settore.