ABBRACCIARE POGBA

Papà, perché hai preso il mio posto a tavola? Nicole, al giorno d’oggi bisogna saper ricoprire tutti i ruoli. Difensore, attaccante, centrocampista, esterno alto ed esterno basso. Portiere. Il ruolo è una funzione, dicono. E che funzione hai te? Seduta li, capotavola? Sei forse una first line breaker? O una wide controller? E che funzione ho io che mi trovo al posto tuo? Che funzione ho se non quella di abitare questo mondo capovolto, dove le parole trasmigrano e il significato, il vero significato delle cose sta solo nei fatti.

 

0.

Lo schianto di una Freccia Tricolore all’aeroporto di Caselle.

 

1.

Getto e vado al sodo. Sperimento la mia prima cronaca a caldo. Se volete bypassare vi aspetto al punto 2.

MU – BHA 1-3.

Red Devils di Ten Hag con un 4-3-1-2 estremamente stretto e poco votato al pressing ultraoffensivo ma con “cilindrate” fisiche superiori. Brighton di De Zerbi con il suo ordinatissimo 4-2-3-1 che, come ci ha abituato il tecnico bresciano, in fase offensiva diventa un 2-4-4 con i centrali di difesa Dunk e Van Hecke supportati dai due mediani Gross e Dahoud a costruire gioco, e i laterali Lamptey e Veltman che vincolano le mezzali  avversarie Eriksen e McTominay a un lavoro di pressione e ripiegamento eccessivo e mal sopportato. Il problema per lo United è proprio lì: le azioni pericolose giungono dalle fasce, meno dalla parte di Mitoma, più da quella di Adingra. Il primo gol di Welbeck al ventesimo, grazie allo splendido velo di Lallana, è la dimostrazione del dominio sulle laterali del BHA. Per non parlare poi degli altri due gol subiti su azioni corali magnificamente concluse da Gross al 53° e da Joao Pedro al 71°. Da lì in poi, game over. La scelta di Ten Hag di rimanere con attacco e centrocampo stretti per non dar modo ai centrocampisti biancoblu di cercare gli esterni alti che fungevano da trequartisti (nei corridoi tra le linee di centrocampo e difesa) facilita il controllo del gioco di De Zerbi. La gestione della palla, la qualità del fraseggio, sono caratterizzate da una freddezza e lucidità che appaiono inscalfibili, nonostante una prestazione generale soltanto ordinata, non eccezionale. Ti-tic, ti-tac, ti-toc e si va in gol, massima efficacia. Dall’altra parte le transizioni offensive del Manchester sono mediamente pericolose con Rashford (un suo tiro deviato sbatte all’incrocio), che spesso si sfila esternamente per poi puntare a tutta velocità palla al piede, e Hojlund – gol annullato – abile a tenere sempre in apprensione i due centrali di difesa, nonostante una partita con pochi squilli. È vero che lo United il primo tempo sembra aver fatto una buona partita, ma è anche vero che non c’è stata quella pericolosità cinica che il BHA ha confermato per tutto l’arco del match. Il risultato parla chiaro e se Onana non salva su Ansu Fati nel tempo di recupero, il tabellone avrebbe segnato un lapidario 1-4. La striscia positiva del Brighton prosegue con la quarta vittoria consecutiva. Interessante il dato dei tiri totali: 14-10 per lo United, e dei tiri in porta: 2-8 per il Brighton.

Parlare di tattica è sempre piacevole: il confronto e l’analisi potrebbero toccare miliardi di sfaccettature, ogni volta. La logica affascinante dei movimenti e posizionamenti dell’undici del tecnico italiano in continua crescita, e le gravi difficoltà difensive della squadra dell’olandese, giunto ormai alla terza sconfitta su cinque partite di campionato… Ciò che è balzato all’occhio però è l’evidente complessità delle due “situazioni” messe a confronto. Lo United è in cerca da anni di un’identità che vada oltre il campo di gioco, con una filosofia di calcio che per essere riconosciuta e consolidata ha bisogno di tempo, diverso tempo. E di tempo non ce n’è mai abbastanza, soprattutto se i concetti chiave sono da ricercare non solo nella tattica ma nelle matrici culturali che Ten Hag porta con sé. Dall’altra parte una squadra dall’inscalfibile (permettetemi la ripetizione) metodo operativo, dove appare chiara una coesione ambientale che rende fiducioso qualsiasi gesto e scelta tecnica sul terreno di gioco. Da una parte un concentrato di qualità amalgamata con idee poco chiare, dall’altra un organico ottimamente gestito da un allenatore che nelle modalità comunicative e professionali è letteralmente viscerale. E il buon Roberto De Zerbi, zitto zitto, rimane ai piani alti della Premier League. Ne riparlerò, di RDZ. Prossimamente. 

 

2.

Passeggiando sabato sera sotto i portici di Via di Cernaia, una famiglia sfila alla mia sinistra. Papà, mamma e due figli. Accento romanesco e qui te dico fermate. Il più grande, sui diciotto, indossa una maglia nera che al centro della schiena ha disegnata l’Aquila della Lazio, in un educato stile cartoon. E una scritta che circonda il simbolo biancoceleste:

I spend all my money on Lazio and beer.

 

3.

Abbandonata la famiglia diretta verso piazza Castello, all’altezza della Cittadella, svolto a destra e giungo al semaforo. Rosso. Ram Dass interviene negli auricolari (specifico: auricolari a conduzione ossea che per Ciccio Cosenza erano maldigeriti):

The real work you have to do

is in the privacy of your own heart

 

4.

Trentaquattresima giornata di Serie A, stagione 2012/2013. Derby della Mole. Stadio Olimpico di Torino. Mister Ventura decide di approcciare la squadra bianconera allenata da Antonio Conte in maniera differente dal modo in cui eravamo abituati. Sì, certo, in fase di possesso il giro palla da dietro, le giocate memorizzate, cercare l’uomo libero in base a chi esce, Santana e Cerci per gli uno contro uno su Lichtsteiner e Asamoah. Quello che cambia in realtà è la fase di non possesso. «Domenica li andiamo a prendere uomo contro uomo», ci disse durante la settimana. Ognuno ha il suo uomo e non lo deve mollare… Fin dal martedì infatti, allenamenti focalizzati sulla marcatura aggressiva, sulla pressione verso il proprio dirimpettaio come cuore granata vuole. Una sfrontatezza inusuale per il Mister, che tendenzialmente aspettava l’avversario nella propria metà campo. Quindi, ricapitolando. Il pragmatico 3-5-2 di Conte fresco vittorioso di secondo scudetto contro il 4-2-4 a uomo di Ventura in cerca della salvezza matematica. Due squadre molto simili per filosofia tattica, un po' meno per quanto riguarda i valori tecnici. È in questa cornice agonistica, in una piovosa domenica pomeriggio di fine aprile, stadio esaurito, tifosi granata speranzosi e campo zuppo che  conosco, in tutta la sua fisicità, Paul Pogba.

Torino: Gillet; D’Ambrosio, Glik, Ogbonna, Masiello; Basha, Gazzi; Cerci, Bianchi, Meggiorini, Santana. All. Ventura.

Juventus: Buffon; Barzagli, Bonucci, Chiellini; Lichtsteiner, Vidal, Pirlo, Pogba, Asamoah; Marchisio; Vucinic. All. Conte.

Me lo sono sorbito per novanta minuti filati. Mi ci sono francabollato a fatica. Ho cercato di stargli aggrappato con vinilico agonismo. Quei 191 cm di giovane e imponente massa muscolare, la massiccia trasposizione di un incrocio tra Yaya Tourè e Vieira, erano stati probabilmente il miglior investimento in assoluto ai tempi di Conte. Un ragazzo dal promettente futuro, giovane quanto basta per far sognare tifosi e bilanci. Vent’anni. Venti. Io al tempo ne avevo appena compiuti trenta, ero in procinto di entrare nella terzà età pallonara e il mio cartellino valeva orientativamente 1/5 del suo (fonte Transfermaket). Che dire: un concentrato di talento, una qualità tecnica quasi sublime da ambo le parti e vigore giovanile, tanto vigore giovanile che a tratti appariva dirompente e spregiudicato. Fin dai primi passi sotto la Mole ero rimasto impressionato. D’altronde come poteva non impressionare? E dove si poteva trovare un centrocampista così completo in tutti i ruoli di metà campo? Ma soprattutto: quanto avrebbe potuto ancora migliorare viste le premesse impressionanti? Ricordo con chiarezza il duello corpo a corpo che dovetti affrontare nel diluvio battente, un duello nel quale la storia la poteva scrivere solo lui. Una fisicità spigolosa, straripante, a cui mancava solo un po' di equilibrio e controllo nella copertura della sfera e alla quale potevo solo mettere un freno giocando sull’esperienza, sulle furbizie lecite, sull’intuito logico di un professionista navigato e dai piedi quadrati. Pogba è uno dei calciatori che gli puoi solo girare attorno per quanto grosso è. Ricordo, e l’immagine di copertina lo dimostra chiaramente, come uno dei modi per creargli un ostacolo fosse quello di entrare a stretto contatto, di sentirlo e di giocare sull’insistenza del duello con mani e braccia, unica e valida possibilità per frenare le sue azioni. Rompergli sempre i coglioni, in soldoni. L’unica consolazione? Nei duelli aerei riuscivo ad anticiparlo e, qualche volta, vincevo io. Del resto, delle sue danze con il pallone, dei suoi tiri, delle sue veroniche, delle sue capacità indiscutibili sapete già tutto.

E oggi, 17 settembre 2023. Cosa resta da dire di quel calciatore straordinario che è stato? Parlo al passato, perché preferisco non illudermi sul suo futuro connotato da un’incertezza che asfalta qualsiasi più rosea previsione. La speranza è sempre l’ultima a morire, certo, e spero per lui che riesca a uscire dalle complicate faccende che lo stanno affliggendo. Parliamoci chiaro: un talento smisurato così credo si sia visto solo in quegli anni, verso la metà degli anni Dieci e in Nazionale. Un dispiacere vedere la sua traiettoria calcistica sfumare, se non addirittura sprofondare nelle indefinite nebbie che stanno avviluppando la sua vita. Di certo è che qualche casino, qualche scoria dovuta a relazioni umane probabilmente non brillanti (e non parlo solo dell’ultimo caso doping), ha segnato la vita calcistica di un talento che ahimè, oltre ad aver avuto momenti duri e crudi, non è riuscito a riprendere in mano con costanza la sua vita professionale. E gli infortuni nell’ultima stagione, vuoi o non vuoi, non sono mai del tutto casuali. L’unica cosa da fare? Nonostante tutto, abbracciare Paul Labile Pogba.

Il Derby del 2013 finì 2-0 per la Juventus, reti di Vidal e Quagliarella negli ultimi minuti di gioco.

 

5.

“In condizioni come queste, le malattie possono diffondersi rapidamente poiché i sistemi idrici sono contaminati. Quasi tutti hanno perso qualcuno che conoscono.

La città odora di morte.”

Salah Aboulgasem, sull’inondanzione in Libia (fonte Repubblica).

 

 

Visioni

Manchester United- Brighton & Hove Albion, Italia-Polonia, il primo tempo di Catanzaro-Parma, il secondo tempo di Como-Ternana. The deepest breath, 2023 di Laura McGann.

Ascolti

Jon Hopkins. Music for Psychedelic Therapy, 2021. Domino.

Cure. Seventeen seconds, 1980. Fiction Records.

Stratosphere with Dirk Serries. In a place of mutual understanding, 2013. Projeckt.